martedì 03 Giugno 2014 - h 00:00

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Renato Dall’Ara, il ricordo del Presidente a cinquanta anni dalla scomparsa

Salta in sella quasi per caso, nel 1934, quando la stella di Leandro Arpinati è tramontata e il Regime deve trovare una guida sicura per una delle più solide istituzioni cittadine. Il 26 gennaio 1934 Renzo Lodi scioglie la "Bologna sportiva" e Gianni Bonaveri, uomo di Arpinati, lascia il Bologna Calcio nelle mani di un commissario straordinario, Renato Dall'Ara. Quarant'anni, un viso rubizzo, l'inclinazione naturale alla battuta greve, ma attenzione a prenderlo sottogamba. Reggiano, dal niente è diventato florido industriale della maglieria. Ha il bernoccolo per capire le cose e le persone. A capire dove è stato paracadutato ci mette pochi mesi. Una stagione di assestamento, poi importa Andreolo dall'Uruguay e il grande Bologna ricomincia a vincere alla grande. Passa per pitocco perchè è solito costringere i giocatori a trattative estenuanti per i reingaggi annuali, passa per sempliciotto perchè la sua parlata è infarcita di attentati a grammatica e sintassi e spassose citazioni maccheroniche, ma in breve il suo fiuto diventa infallibile e a guidarlo c'è una passione ben dissimulata ma genuina. Il suo Bologna nel dopoguerra naviga sempre a quote medio-alte, incessanti sono i tentativi del Presidentissimo di rilucidare il blasone. All'inizio degli anni Sessanta cuce anno dopo anno il suo capolavoro, fatto di un settore giovanile coi fiocchi e di una rete di osservatori efficiente che gli consente di accaparrarsi talenti importanti. Il resto ce lo mette il suo bernoccolo per gli affari. Si innamora di Nielsen e di Haller in anticipo su tutti, comprende anche la grandezza di Bernardini pur non potendone soffrire il distacco un po' snob. E quando sta arrivando al traguardo, una lite furibonda nella sede milanese della Lega con Angelo Moratti sull'entità dei premi-partita per lo spareggio gli ferma il cuore, già provato da precedenti infarti. Il 3 giugno di 50 anni fa. Quattro giorni dopo, il Bologna trionfa nel catino infuocato dell'Olimpico nello spareggio scudetto e la presenza più palpabile è proprio quella del grande assente. Trent'anni di regno, un primato assoluto, con una sala trofei piena di luccichii: cinque scudetti, una Coppa dell'Europa Centrale, il Torneo dell'Esposizione di Parigi, una Mitropa Cup, una Coppa Alta Italia.
"Ma soprattutto un supremo magistero, una filosofia fatta di concetti così vitali e terreni. Uomini che ai tempi di Dall'Ara non eravate nemmeno nati, uomini che ne avete sentito parlare solo di rimbalzo: tipi come Renato Dall'Ara sono appunto l'uomo, il calcio, la vita" (da L'Unità del 4 giugno 1964)

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