mercoledì 04 Gennaio 2017 - h 23:01

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Ricordo di Ezio, nostro terzo cannoniere all-time, il bomber col sorriso

Rapido, grezzo, devastante: sui cross che fischiavano strani, o troppo lunghi o troppo difficili, a mezz’altezza, Ezio piombava come un falco, di piede e soprattutto di testa, a costruire splendidi gol e suggestive sculture che i fotografi immortalavano, per la gioia dei tifosi. Non era un virtuoso, non era un drago del dribbling, ma non aveva paura di nulla e il gol l’aveva nel sangue.

Era l’estate del 1954, Gipo Viani convinse Dall’Ara, tre milioni e mezzo al Torviscosa e mezzo milione al giocatore, per suggerire alla famiglia che a quel punto gli studi potevano anche aspettare. L’1 gennaio 1956 esordiva in Serie A “bucando” il Vicenza e il posto da titolare fu suo, 11 gol in 18 partite tanto per fare capire che aria tirava. Dopo sarebbe stato tutto un turbine, di emozioni e di gol.

Reti di testa a mezz’altezza in torsione – come quella volta rubando il tempo a Burgnich, o l’altra intercettando un pallone destinato a Nielsen contro il Mantova -, che avrebbero lasciato il segno indelebile del campione. O come la doppietta che infilò al Prater di Vienna, esordio memorabile di Fabbri alla guida della Nazionale, l’Austria battuta sul suo campo dagli azzurri dopo 27 anni.

Quando arrivò la maturità e caddero i capelli, la pelatina di Ezio potevano fermarla solo gli infortuni: nel campionato 1962-63 cominciò a segnare a raffica dalla prima giornata, stabilendo un primato di reti consecutive che solo Batistuta 32 anni dopo sarebbe riuscito a battere, fermandosi solamente per via di un problema fisico. Non aveva una grande elevazione ma percepiva, sempre prima degli altri, l’attimo decisivo. E rubava il tempo, e fregava tutti. Aveva vinto la Mitropa Cup nel 1961, nel 1963-64 fu tra i grandi protagonisti della marcia trionfale, anche se la sfortuna ci mise lo zampino: prima lo scontro in Nazionale con Dubinski che gli avrebbe amareggiato il resto della carriera, poi il coinvolgimento nel pasticcio del doping, infine l’infortunio che gli precluse lo spareggio dell’Olimpico contro l’Inter, che offrì a Bernardini il destro per inventare la mossa di Capra ala tattica. I ricorrenti guai alle ginocchia gli accorciarono la carriera, a 31 anni i cigolii alle articolazioni gli imposero un doloroso stop. Chiuse con 17 partite e 8 gol in Nazionale, alfiere di un calcio di ardore e passione che resta immortale nella memoria. Ma soprattutto 142 reti con la maglia del Bologna, la sua seconda pelle, gli unici colori che ha indossato in 14 stagioni da calciatore professionista: Ezio è il nostro terzo cannoniere di tutti i tempi dopo Schiavio e Reguzzoni, senza mai aver calciato un rigore o una punizione, in 336 presenze rossoblù, 13° di sempre.

Oggi tutto sembra facile. Vivo momenti di completa felicità, turbati soltanto dal timore che un giorno o l’altro possa finire. Dell’affetto che il mio pubblico mi porta ho avuto una straordinaria riprova domenica scorsa, giocando in maglia azzurra contro la Turchia. Dall’inizio alla fine è stato solo un coro, incessante: Ezio! Ezio! Sulle gradinate sventolavano bandiere rossoblù e, in mezzo, c’erano cartelli che mi esaltavano. Quando uscii dallo stadio, mi vennero addosso con un altro bandierone e mi ci fasciarono. Un ragazzino aveva un cartello con su scritto Pascutti è meglio di Pelé”. (Ezio Pascutti a pochi giorni da Italia-Turchia 6-0, 1962, giocata al Comunale di Bologna).

La foto, del fotografo Maurizio Parenti, ritrae Ezio nel momento che più di ogni altro l’ha destinato alla memoria collettiva in qualità di icona: Ezio segna all’Inter in tuffo col corpo parallelo al terreno, battendo sul tempo il nerazzurro Burgnich. Addio, bomber col sorriso.

 

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