mercoledì 18 Ottobre 2017 - h 11:52

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Ricordo di Perani, 415 volte rossoblù, il quinto di tutti i tempi

Quel pomeriggio il compito di Marino era dei più difficili. Bernardini gli aveva detto: “Occupati di Facchetti, lo devi contenere e poi riparti e lo fai impazzire”. Missione compiuta. La grande chiave dello spareggio, al di là del geniale utilizzo di Capra, fu proprio la prestazione di Perani. E dal suo piede destro, dopo una bella percussione sulla fascia, nacque anche l’azione del raddoppio, propiziata poi dall’assist di Fogli a Nielsen.

Discendente di una famiglia di calciatori, peperino della Val Seriana costato a Dall’Ara circa 80 milioni di lire, in campo sembrava una trottola, guizzava oltre i terzini, crossava, usava i piedi come se fossero mani. Erano i i tardi anni ’50, doveva far dimenticare l’idolo di casa Cesarino Cervellati, ormai in declino atletico, e Marino fu ben presto protagonista nonostante qualche limite caratteriale, per limare il quale fu girato in prestito al Padova a scuola da Nereo Rocco. Irrobustito da un anno di duelli e di contrasti in allenamento con i vari Azzini, Blason e Scagnellato si ripresentò nel ’60 a Bologna già più temprato, duettava con Vinicio e infilò 10 gol con Allasio in panchina.

L’avvento di Bernardini innescò con Perani un rapporto di amore-odio, Marino si affermò comunque segnando a raffica e contribuendo alla classifica cannonieri di Nielsen e Pascutti con le sue sempre brillanti iniziative sull’esterno. Ma Fuffo lo teneva sulla corda, alternandolo in campo con Mimmo Renna, cosa che il nostro non gradiva particolarmente. Ne uscì però un giocatore ancora più maturo, magari meno presente in zona gol ma più completo e funzionale anche nell’aiutare la mediana rossoblù: a metà anni ’60 diventò uno dei tornanti più efficaci d’Italia, nonostante il rapporto mai decollato con Bernardini e ancor meno col successore Scopigno. Luis Carniglia lo portò invece in palmo di mano, da amante del calcio spettacolo e dei palleggi fini: l’allenatore argentino sopportava a malapena Nielsen e Pascutti, adorava invece Giacomo e Marino, che continuarono ad essere grandi protagonisti.

L’approdo in azzurro fu quindi naturale, conquistando con pieno merito la partecipazione a Inghilterra ’66, anche se poi i due gol sbagliati sotto porta con la Corea segnarono il destino italiano (ma se non fosse uscito Bulgarelli…). Perani continuò a servire il Bologna da prezioso soldato anche quando, superati i 30 anni, si spostò in posizione più centrale: rimasero celebri i suoi controlli da vicino su Rivera nei tanti Bologna-Milan. Sedici stagioni in rossoblù (un’enormità!), condite dallo scudetto, dalla Mitropa ’61, dalle due Coppe Italia e dalla Coppa di Lega Italo-Inglese, ne fanno uno dei più presenti e vincenti di sempre.

Eroe di quel Bologna che giocava come “solo in Paradiso”, ha messo insieme ben 415 partite con la nostra maglia: è il quinto di tutti i tempi per presenze ufficiali, dietro a Bulgarelli, Roversi, Nervo e Reguzzoni. Poi, dopo aver svezzato come allenatore delle giovanili un promettente Roberto Mancini, all’inizio del ’79 Luciano Conti gli affidò la panchina della squadra, che con Pesaola non ingranava più, ricevendone in cambio dal Perani tecnico emergente e studioso un Bologna rivoluzionario, col doppio stopper davanti al libero e due esterni di difesa, antesignano del 5-3-2 col gioco a zona che nei tardi anni ’80 alcune nazionali iniziarono poi a far conoscere al mondo. Da Mister durò poco, ma il nuovo Presidente Fabbretti gli riaffidò poi il comando nell’estate successiva. Condusse i rossoblù a un settimo posto finale, poi proseguì la carriera da tecnico fra l’altro anche a Parma, dove anni dopo ingaggiò un bel duello proprio con noi per riemergere dal pantano della C, e tornammo su entrambi.

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