Storia

La Nascita del Bologna

Il Bologna Foot Ball Club nasce ufficialmente domenica 3 ottobre 1909 presso la birreria Ronzani in via Spaderie, in qualità di sezione “per le esercitazioni di sport in campo aperto” del Circolo Turistico Bolognese, come riferito puntualmente dal Resto del Carlino il giorno successivo. Viene eletto Presidente Louis Rauch, un odontoiatra svizzero, ma l’iniziativa era stata di un giovane di origine boema arrivato a Bologna un anno prima: Emilio Arnstein, che appena giunto in città aveva cercato subito giovani che avessero la sua stessa grande passione per il calcio; informato che nella Piazza d’Armi ai Prati di Caprara giocavano dei giovanotti, per lo più studenti, che dagli abitanti della zona erano detti “quei matti che corrono dietro a una palla”, si era recato sul posto per incontrarli; erano i fratelli Gradi, Martelli, Puntoni, Nanni, lo stesso Rauch e gli studenti del Collegio di Spagna, Rivas e Antonio Bernabeu, fratello di Santiago (il Presidente del mitico Real Madrid). Arrigo Gradi, che del Bologna fu il primo capitano, andava agli allenamenti con la maglia a quarti rosso e blu del collegio svizzero Schoenberg di Rossbach nel quale aveva studiato, e presto questi colori divennero quelli della divisa sociale.

Nell’inverno del 1910 il Bologna Football Club si era reso autonomo uscendo dal Circolo Turistico, le maglie erano state modificate con strisce verticali, ma avevano mantenuto i colori originali. Nell’assemblea era stato eletto Presidente il Prof. Borghesani, vice Emilio Arnstein e Rauch trainer, come era chiamato allora l’allenatore. Dopo la netta vittoria nel Campionato Emiliano in due partite giocate nello stesso pomeriggio contro la Sempre Avanti (10-0) e la Virtus (9-1), venne organizzata nel maggio del 1910 un’importante amichevole con l’Inter Campione d’Italia che i milanesi vinsero solo nel finale per 1-0 davanti a un pubblico entusiasta e numeroso; la bella figura fatta diede al Bologna il diritto di iscriversi per la prima volta a un campionato nazionale: 1910/11. L’avventura iniziò con alcuni piazzamenti nei gironi regionali, nel frattempo il Bologna trasferì il suo campo di gioco prima alla Cesoia il 26/2/1911, poi allo Sterlino, inaugurato il 30/11/1913 con l’incontro Bologna-Brescia terminato 1-1. I fratelli Emilio e Angiolino Badini divennero i giocatori simbolo di quell’epoca, Emilio fu il primo bolognese ad indossare la maglia della Nazionale Italiana e Angelo fu per anni una sorta di capitano-allenatore e a lui fu poi dedicato il campo dello Sterlino. La guerra interruppe l’attività, poi alla ripresa si ripartì con rinnovato slancio e in poco tempo il Bologna entrò nella ristretta cerchia delle squadre che contano: fu decisivo l’ingaggio dell’allenatore danubiano Felsner che diede un impulso determinante a livello nazionale alle ambizioni del Bologna.

 

 

Il Primo Scudetto

Dopo una finale scudetto persa nel Campionato 1920-21 con la Pro Vercelli, Angiolino Schiavio esordì nel 1922 – diventerà il più grande cannoniere della nostra storia – e nel 1924-25 arrivò il primo nostro titolo italiano: l’avversario più impegnativo il Genoa, nella finale del girone Nord, capitolato solo al quinto incontro (2-0) disputato a Milano a porte chiuse per evitare il ripetersi di incidenti tra le tifoserie, piuttosto focose nelle partite precedenti. Il Bologna giocò per la prima volta con le maglie verdi con colletto filettato rossoblu e il trionfo fu sancito dai gol di Pozzi e Perin. La finalissima con l’Alba Roma rimase solo una formalità: 4-0 a Bologna e 2-0 a Roma. Nel frattempo, visto l’entusiasmo sempre crescente dei bolognesi, per iniziativa del gerarca locale Arpinati, uomo molto in vista del regime, si costruì il nuovo Stadio Littoriale per contenere le ormai migliaia di tifosi rossoblu: il 29 maggio 1927 fu inaugurato con l’incontro della Nazionale italiana (2-0 alla Spagna del mitico Zamora), ed il 6 giugno si disputò la prima partita in campionato, una bella vittoria contro i tradizionali avversari genoani: 1-0 con rete di Martelli. Angelo Schiavio era già il giocatore simbolo del Bologna e, dopo altri campionati persi per un nonnulla (come nel 1926 e nel 1927, scudetto revocato al Torino per illecito e non assegnato al secondo classificato, il Bologna, perché il Presidente federale – nel frattempo era stato eletto proprio Arpinati – non volle dare adito a sospetti di favoritismo), ottenemmo il nostro secondo tricolore nel 1929 dopo una finalissima a Roma (città che ci porterà bene anche nelle finali successive) contro il Torino: 1-0, gol di Muzzioli su passaggio di Schiavio, autore di un’azione irresistibile. Iniziava il mito del Bologna e dei suoi gioielli: oltre a Schiavio, il portiere Gianni detto gatto magico per le sue doti acrobatiche, Della Valle goleador implacabile, Perin abile centrocampista; nacque in quel periodo il celebre detto: “Il Bologna è uno squadrone che tremare il mondo fa“, assolutamente foriero di buoni auspici vista l’imminente escalation del nostro club anche fuori dai confini nazionali.

 

I Magnifici anni 30

Il Bologna inaugurò l’era dei campionati a girone unico nel 1929-30 con lo scudetto sulla gloriosa maglia, mostrato in bella evidenza nel corso della prestigiosa tournèe estiva in America Latina cui prese parte, e ingaggiando poi una serie di entusiasmanti duelli sportivi con la Juventus, la grande rivale del decennio in campo nazionale.
Arrivarono nuovi giocatori dal Sudamerica (su tutti i mitici uruguayani Fedullo e Sansone, poi Andreolo, più l’ala bustocca Reguzzoni, che diventerà una bandiera rossoblù con 14 stagioni a Bologna, e ancora due colonne come Monzeglio e Montesanto) e fu così che i rossoblù, ormai una vera potenza del nostro sport, posero le basi per cimentarsi orgogliosamente con i grandi maestri del calcio danubiano prima e inglese poi, dettando legge anche in ambito continentale. Nel ’32 portammo a casa la prima Coppa dell’Europa Centrale, con il maestro magiaro Lelovich subentrato a Felsner da pochi mesi, e nel 1934 ripetemmo l’impresa battendo in finale l’Admira Vienna. A livello societario contemporaneamente a questa serie di trionfi si concretizzò un determinante cambiamento: la nomina, prima a Commissario Straordinario poi a Presidente, di Renato Dall’Ara, un industriale reggiano, personaggio scaltro, godereccio, che otterrà grandissimi risultati nella sua straordinaria presidenza che durerà 30 anni! L’Italia intanto diventava campione del Mondo nel ’34 con un gol proprio di Schiavio in finale e continuò per il Bologna dal campionato 1935-36 in poi un periodo d’oro: ben 4 scudetti (1936, 1937, 1939, 1941) ed un prestigioso Trofeo dell’Esposizione Internazionale vinto a Parigi con un fantastico 4-1 sul Chelsea in finale: la rassegna ospitava i migliori club d’Europa, e mai una formazione britannica era caduta (e con quale margine!) al cospetto di una squadra del continente.
Nell’ottobre del ’38, ritornò Ermanno Felsner, l’allenatore dei primi successi, perché le leggi razziali imposero all’ebreo Arpaid Weisz (che aveva firmato 3 scudetti) di lasciare l’Italia per seguire un tragico destino. Il Nazionale Ceresoli prese il posto di Gianni in porta e nacque calcisticamente l’astro di Amedeo Biavati, l’inventore del passo doppio: una finta in corsa che sbilanciava l’avversario e gli permetteva di crossare con precisione per la testina d’oro di Puricelli – cannoniere dall’impressionante media-gol – o le chiusure a rete di Reguzzoni; diventò Campione del Mondo nel 1938 e raccolse il testimone lasciatogli dall’altro bolognese Schiavio, che si ritirava per dedicarsi alla propria attività imprenditoriale dopo essere stato il simbolo del Bologna per 18 anni ed aver ottenuto un record ineguagliato: 242 gol, tutti rigorosamente in rossoblù.

Così si gioca solo in paradiso

Con l’avvento di un nuovo conflitto mondiale finì un’epoca e il dopoguerra ricominciò ancora da Renato Dall’Ara, sempre al timone della società. Nel 1946-47 l’illusione di essere tornati grandi (7 partite senza subire gol con in porta prima Ferrari poi Vanz), fu dissipata dalla netta sconfitta contro il Grande Torino e il 5° posto finale non fu da disprezzare. Furono gli anni di un cannoniere lunatico, estroso e irresistibile nelle giornate di vena: Gino Cappello, che in coppia con il bolognese Cervellati consolava con le sue giocate il pubblico bolognese dal susseguirsi di campionati mediocri. Il Bologna si piazzò sempre dietro le squadre dell’asse Milano–Torino e in un paio di occasioni frequentò pericolosamente le zone basse della classifica. L’acquisto di Gino Pivatelli, che diventò capocannoniere nel ’55-’56 con ben 29 reti in 30 partite, ed il giovane Pascutti, che al suo esordio segnò subito un gol a Vicenza, fecero da contraltare negli anni seguenti a giocatori stranieri che tradirono le grandi aspettative riposte su di loro con un rendimento non all’altezza.

Ma agli inizi degli anni ’60, con l’arrivo di Bernardini in panchina, si profilava all’orizzonte il ritorno in grande stile di un gruppo vincente: tassello dopo tassello, ai già affermati Pascutti e Pavinato si aggiunsero i giovani e cristallini talenti di Giacomo Bulgarelli e Romano Fogli, ed il Dottore (così era chiamato Bernardini, per la sua cultura e competenza), che all’inizio era in continua polemica con il Presidente per via del gioco (a parere di Dall’Ara bello ma poco redditizio) conquistò sul campo la città e i suoi tifosi con due stagioni all’insegna del bel calcio, al punto da esclamare, al termine di una partita vinta in modo perfetto per 7-1 sul Modena: “Così si gioca solo in Paradiso!“. Era il campionato 1962-63, che fece registrare il record di Pascutti a segno consecutivamente per le prime 10 giornate (12 gol). Con l’arrivo del fuoriclasse tedesco Helmut Haller e la definitiva consacrazione del giovane centravanti danese Harald Nielsen (detto Dondolo), si posero le basi dello storico trionfo dell’anno successivo.

Il problema del portiere fu risolto con l’acquisto del nazionale Negri e nel ’63-’64, dopo un inizio stentato, il Bologna infilò una serie di vittorie che lo portarono al comando dopo il 2–1 di San Siro sul Milan. Via all’altalena di emozioni: pochi giorni dopo scoppiava il caso-doping, con 5 giocatori (Pavinato, Fogli, Tumburus, Perani e Pascutti) trovati positivi ai consueti controlli. I calciatori, l’allenatore e il medico vennero squalificati ed il Bologna penalizzato di tre punti. La reazione della città fu quella di chi sa di subire un’ingiustizia da parte dei potenti: scesero in campo le forze politiche e sociali e soprattutto la gente comune. Le controanalisi dimostrarono settimane dopo l’innocenza dei rossoblù e i 3 punti furono restituiti; il campionato, dopo un meraviglioso testa a testa, finì con Bologna e Inter (fresca Campione d’Europa) appaiate al primo posto. Si rese necessario – un fatto unico nella storia del calcio italiano – lo spareggio per l’assegnazione del titolo, programmato a Roma il 7 giugno 1964. Tre giorni prima morì improvvisamente il presidentissimo Renato Dall’Ara, mentre si trovava nella sede della Lega con Angelo Moratti, proprietario dell’Inter, per definire i dettagli organizzativi per lo spareggio. Il Bologna giocò con il lutto nel cuore la partita perfetta, accorta tatticamente e assai cinica, vincendo 2-0 con reti di Fogli e Nielsen, mettendosi così in tasca dopo 23 anni il settimo scudetto! Un giornale titolava: “Lui ha visto ed è stato felice!”.

Gli anni 70

L’indomani non fu semplice nè fortunato: il confronto con l’Anderlecht in Coppa dei Campioni si risolse a favore dei belgi nello spareggio di Barcellona con un sadico lancio della monetina, e in campionato una serie di risultati altalenanti alimentarono polemiche e dualismi nella squadra e allontanarono i tifosi delusi; esonerato Fulvio Bernardini, si ricominciò con un nuovo allenatore (breve parentesi di Scopigno, poi Carniglia) e i frutti arrivarono presto, con un 2° e un 3° posto. Persi poi nel tempo progressivamente gli eroi del ’64, i ricambi non si dimostrarono sempre all’altezza: Bulgarelli restò a Bologna, ma vennero ceduti prima Nielsen poi Haller, mentre Pascutti dovette smettere l’attività, come Negri, per gli acciacchi dell’età.

Si alternarono allenatori e presidenti per arrivare alla fine degli anni ’60 con Edmondo Fabbri in panchina e una Coppa Italia vinta con il Torino (2-0) con doppietta di Savoldi, che viene replicata nel ’74 superando in finale ai rigori il Palermo (sempre a Roma, campo storicamente propizio per noi). Nel ’75 finì la sua lunga, esaltante ed onorata carriera Giacomo Bulgarelli, la bandiera del Bologna, l’unico che per militanza rossoblù è assimilabile a Schiavio in tutta la nostra storia. L’eredità sportiva passò ad Eraldo Pecci, un romagnolo cresciuto nel vivaio, che appena si impose come centrocampista di grande personalità fu ceduto frettolosamente dal Presidente Conti al Torino. Contemporaneamente il nuovo idolo di Bologna, il cannoniere Giuseppe Savoldi, si trasferì al Napoli per la cifra da capogiro di 2 miliardi! I tifosi non perdonarono al Presidente Conti la politica della cessione dei pezzi migliori, nonostante l’unanime stima l’estroso ed elegante allenatore Pesaola. Dopo una serie di stagioni tra il 5° e l’8° posto iniziarono i brividi, con salvezze in extremis di cui era artefice Cesarino Cervellati, chiamato spesso a risollevare le sorti del Bologna quando tutto sembrava ormai compromesso. Nel 1978-79 si preservò all’ultimo respiro la A pareggiando 2-2 in modo rocambolesco in casa con il Perugia, nell’ultima uscita di un altro elemento simbolo: il terzino Tazio Roversi. Nel ’79-’80, subentrato Tommaso Fabbretti a Conti, con allenatore Perani e il ritorno di Beppe-gol, il coinvolgimento dei rossoblù nel calcioscommesse macchiò un campionato onorevole. La punizione scontata l’anno successivo con la penalizzazione di 5 punti accrebbe i meriti di Mister Radice, che condusse i rossoblù al 7° posto finale dopo tante vittorie importanti, al termine di una stagione da ricordare, e che non lasciava presagire quello che stava per succedere.

All'inferno e ritorno per due volte

Per la prima volta nella storia, nella primavera del 1982, si rovesciò il mondo per i rossoblù allo stadio di Ascoli Piceno. Il Bologna, che come unica gioia di quella stagione si era regalato l’esordio fra i “grandi” del gioiello Roberto Mancini, subì l’onta sportiva di una retrocessione dolorosissima, e che purtroppo non fu l’unica: non ci era mai successo fin lì, ma l’anno dopo addirittura fu seguita da quella in serie C, nell’incredulità generale di una tifoseria che comunque negli anni Settanta era stata più volte sul punto di spiccare nuovamente il volo verso sogni assai rosei. Riposti così in modo funesto in fondo al cassetto.

Era obiettivamente troppo, anche per l’anziano Angiolino Schiavio, che dalle colonne del quotidiano cittadino scrisse un articolo di fuoco, dove esprimeva tutto il suo sdegno verso coloro che permettevano che la gloriosa società rossoblu cadesse così in basso. Dopo l’immediata e dovuta risalita in B – stagione 1983-84 -, seguirono alcuni campionati con tentativi di conquistare la serie A senza esito, fino al campionato 1987-88 sotto la presidenza Corioni con un allenatore emergente, Gigi Maifredi, che vincendo lo scetticismo generale portò uno spumeggiante Bologna in serie A dalla porta principale: un meritato primo posto con spettacolo e gol. E si tornava a respirare.

In A, dopo un inizio difficile, il Bologna si salvò con tranquillità e l’anno seguente Maifredi conquistò addirittura la qualificazione in Uefa prima di lasciare Bologna, per rispondere al richiamo della sirena Juventus. Ma nel ’90-’91 un altro passo indietro: la stagione iniziò male con Scoglio in panchina e si trascinò fino alla fine con infortuni a ripetizione e pochezza tecnica. Come se non bastasse, dopo due anni anonimi e l’illusione che un Presidente bolognese (Gnudi), ci riportasse presto nel calcio che conta, si ricadde di nuovo nell’inferno della C con i giorni funesti del fallimento del glorioso Bologna nel giugno del 1993.

La rinascita con Gazzoni

Dalla sentenza del tribunale rinacque il Bologna FC 1909, presieduto da Giuseppe Gazzoni Frascara che iscrisse la squadra al campionato di serie C1 1993-94 con Zaccheroni allenatore e Pecci direttore sportivo. Le ambizioni sportive si infransero ai play-off contro la Spal con tante recriminazioni, ma al secondo tentativo la coppia Oriali-Ulivieri centrò con amplissimo margine l’obiettivo della risalita in B. Solo 12 mesi dopo, nel giugno 1996, si festeggiò anche l’immediata promozione in A con l’indimenticabile gol di Giorgio Bresciani in Bologna–Chievo a tempo scaduto e il secondo campionato consecutivo vinto dai rossoblù. Il ritorno in Serie A fu quasi trionfale: settimo posto in classifica, buon gioco, la banda di Ulivieri per lunghi tratti dava spettacolo e fu bruciante e immeritata l’eliminazione in semifinale di Coppa Italia da parte del Vicenza.

L’anno seguente, il quarto consecutivo di Renzaccio, si chiuse all’8° posto col diritto a partecipare al torneo Intertoto; ma fu anche l’anno bolognese di Roberto Baggio, ingaggiato a sorpresa con un’abile operazione di mercato da Oriali e Gazzoni. Il Divin Codino fu protagonista di una marcia memorabile a livello personale verso l’obiettivo della convocazione ai Mondiali con la Nazionale azzurra, mentre trascinava i rossoblù con un girone di ritorno sopra le righe insieme ai compagni di reparto Andersson e Kolyvanov, da annoverare senza dubbio fra gli stranieri del Bologna più amati di ogni tempo. Nel 1998-99 il Bologna di Carletto Mazzone vinse l’Intertoto battendo in finale i polacchi del Ruch Chorzow, aggiornando così la bacheca con un titolo che mancava dalla Coppa Italia del ’74. Iniziò quindi, cullata dalle perle di Beppe Signori entusiasmante goleador, una fantastica cavalcata europea, raccogliendo ovunque consensi unanimi, e fermandosi alle soglie della finale di Coppa Uefa con una dolorosa e ingiusta eliminazione ad opera del Marsiglia, con un rigore inesistente concesso ai transalpini a pochi minuti dalla fine. Analoga sorte ci toccò in Coppa Italia, sempre eliminati in semifinale (dalla Fiorentina) con identiche recriminazioni. Ma quella era una squadra bellissima, autrice di quello che probabilmente qui è stato il miglior calcio degli ultimi decenni, con un novero di giocatori di alta levatura tecnica (oltre ai già citati, la bandiera Nervo, i pilastri Ingesson, Marocchi, Paramatti e Antonioli, che cedette poi il testimone a un autentico campione quale Gianluca Pagliuca): Gazzoni era riuscito, dopo lungo tempo, a rinverdire davvero i fasti del club, e del Bologna si ricominciò a parlare con rispetto ed ammirazione.
Gli anni seguenti, con Francesco Guidolin designato a guidare la squadra, raccontarono sempre di una classifica a metà strada tra il profumo d’Europa e le zone meno nobili. Fra luci ed ombre, nell’estate 2001 Guidolin, spronato dal vento della contestazione che indusse Gazzoni ad abbandonare la presidenza cedendo la poltrona a Renato Cipollini, finalmente forgiò un Bologna a sua immagine e somiglianza: squadra tosta, tatticamente organizzatissima, che aveva nel dna lo spirito del gruppo che non si arrende di fronte alle vicissitudini. Innesti azzeccati e una buona qualità dell’organico ci tennero in corsa fino all’ultimo addirittura per un posto in Champions League, prima della beffa finale di una domenica a Brescia, quando, per una serie concatenata di risultati avversi, sia la Champions che la Uefa svanirono al fotofinish. Ai rossoblù rimase solo la possibilità di partecipare di nuovo alla Intertoto Cup, peraltro beffarda con la finale persa a Londra contro il Fulham nell’agosto 2002 nonostante i gol a ripetizione di Beppe Signori, capitano e cannoniere simbolo dei anni a cavallo fra i Novanta e i primi Duemila. Furono i primi segnali di un nuovo declino, culminato purtroppo, dopo un paio di salvezze poco brillanti, con una bruciante retrocessione fra i cadetti dopo un drammatico spareggio con il Parma nel giugno del 2005.

Gli anni 2000

Alfredo Cazzola, noto imprenditore del territorio a spiccata vocazione sportiva, rilevò il club dalla proprietà Gazzoni, ma impiegò tre stagioni di Serie B per riportare i rossoblù nell’èlite del calcio con pieno merito: la A fu raggiunta nuovamente nel 2008 – appena in tempo per festeggiare il Centenario del club nella cornice che meritava – al termine di una bella cavalcata con il romagnolo Arrigoni in panchina, e i gol a ripetizione del bomber Massimo Marazzina, che poi nella massima serie cedette il testimone di faro dell’attacco del Bologna a Marco Di Vaio, ben presto divenuto uomo simbolo di quegli anni e trascinatore determinante di una serie di salvezze sofferte, sotto le gestioni traballanti delle proprietà Menarini e Porcedda.

L’avventura del sardo Sergio Porcedda alla guida del club ebbe vita breve e accidentata. Dopo una penalizzazione inflitta al Bologna per il mancato pagamento di stipendi e contributi fiscali, in soccorso dell’agonizzante società intervenne a dicembre 2010 il Comitato Bologna 2010, pool di imprenditori cittadini che alternarono alla propria testa i vari Zanetti, Pavignani e Guaraldi. Furono stagioni dal respiro corto e dalle ambizioni contenute, ad eccezione del campionato 2011-12 che fu terminato al 9° posto grazie soprattutto alla conduzione tecnica di un allenatore giovane e preparato, il parmigiano Stefano Pioli, che continuava a fregiarsi dei gol dell’eterno Di Vaio, che dopo una lunga militanza in club di vertice sia italiani che stranieri scelse di vivere a Bologna una seconda giovinezza coi fiocchi, prendendosi con pieno merito l’esclusiva nei cuori dei tifosi rossoblù in anni altrimenti assai poco soddisfacenti.
Ed ecco che, senza più SuperMarco in attacco dopo 4 anni, la travagliata stagione 2013-14, partita male fino all’avvicendamento in gennaio di Pioli con Ballardini, proseguì peggio nel girone di ritorno, per concludersi con un ennesimo passo indietro, la quarta retrocessione in B della storia della nostra società. E pensare che fino al 1982 dividevamo il primato, insieme ad Inter e Juventus, dei mai retrocessi…

Il Bologna di Saputo

Il campionato 2014-15 iniziò nel segno di Diego Lopez, l’allenatore uruguayano che la società scelse al timone della squadra per cercare una pronta risalita. E durante il girone di andata, in ottobre, si concretizzò anche dopo una lunga trattativa un ulteriore passaggio di mano ai vertici del club.

Il nuovo corso, di respiro internazionale, vide l’arrivo di un gruppo di investitori nord-americani rappresentati dall’imprenditore canadese Joey Saputo (destinato ad assumere presto il completo controllo della società) e dall’avvocato newyorkese Joe Tacopina, con la nomina a nuovo Amministratore Delegato di Claudio Fenucci, e l’area tecnica affidata a Pantaleo Corvino. Nel ruolo di Club Manager un gradito ed importante ritorno, quello di Marco Di Vaio, appese le scarpe al chiodo dopo avere concluso la carriera in Canada. Il mondo rossoblù voltò così pagina in grande stile, i tifosi rispolverarono le giuste ambizioni di gloria e immediatamente andò a segno lo snodo fondamentale per la ricostruzione: affidata nel finale di stagione la squadra alla conduzione di Delio Rossi, dopo 4 avvincenti gare di playoff, contro Avellino e Pescara, il Bologna centrò l’obiettivo del ritorno in Serie A il 9 giugno 2015.

Dopo un avvio complicato del successivo campionato Rossi in panchina è stato sostituito con Roberto Donadoni, per ottenere la garanzia della permanenza nella massima serie, un altro step fissato e ineludibile nel processo di sviluppo del nuovo club: la certezza matematica della salvezza è sempre arrivata infatti con largo anticipo nelle tre stagioni seguenti, in cui si è registrato anche un nuovo avvicendamento alla guida dell’area tecnica con l’innesto del ds Riccardo Bigon reduce dalle lunghe esperienze di Napoli e Verona. E al contempo sono proseguite le opere infrastrutturali – a cominciare dall’edificazione di una nuova ala del centro di allenamento a Casteldebole – per rendere il Bologna sempre più all’avanguardia e dotarsi di una casa all’altezza delle rinnovate ambizioni di Joey Saputo e dei suoi uomini. Dall’estate 2018 alla guida della squadra c’è Filippo Inzaghi, proveniente da due stagioni eccellenti nelle serie inferiori come tecnico del Venezia.

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